2020-03-10

DPCM 8 MARZO 2020 – MISURE DEL CONTENIMENTO DEL CONTAGIO – RISVOLTI PENALI

Un’altra iniziativa di notevole rilevanza adottata dal Governo, allo scopo di contrastare l’emergenza sanitaria in atto in Italia, riguarda il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020 recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, rivolto a tutti i cittadini e in particolare ai residenti delle ‘aree a contenimento rafforzato’, così come individuate dal medesimo provvedimento.

Lo stesso DPCM prevede che il mancato rispetto delle misure di contenimento del contagio ivi indicate è espressamente punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

L’articolo 650 del codice penale punisce con l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 Euro, “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene”.

Trattandosi di una contravvenzione, il fatto risulta punibile sia per dolo, sia per colpa, ma l’autore della violazione potrà essere ammesso all’oblazione (cioè al pagamento della metà del massimo della sanzione penale prevista), che estingue il reato, a condizione che:

  • elimini – per quanto concretamente esigibile – le conseguenze dannose o pericolose del reato;
  • il giudice non valuti il fatto commesso come di “particolare gravità”.

Con riferimento alle altre più gravi fattispecie di reato che potrebbero configurarsi, si segnala che, poche ore fa, è stato pubblicato sul sito internet del Ministero dell’Interno il comunicato stampa relativo alla “Direttiva ai Prefetti per l’attuazione dei controlli nelle ‘aree a contenimento rafforzato’”, in cui si precisa che: “la sanzione per chi viola le limitazioni agli spostamenti è quella prevista in via generale dall’articolo 650 del codice penale […] salvo che non si possa configurare un’ipotesi più grave quale quella prevista dall’articolo 452 del Codice penale (delitti colposi contro la salute pubblica che persegue tutte le condotte idonee a produrre un pericolo per la salute pubblica)”.

In particolare, una delle condotte punite dall’art. 452 del codice penale consiste nell’aver cagionato – seppur colposamente – “un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”. Il Ministero dell’Interno ritiene pertanto che, qualora a seguito della violazione delle prescrizioni contenute nel decreto, il contravventore cagioni (o aggravi) l’epidemia, possa essere chiamato a rispondere di tale più grave reato.

Allo stesso modo potrebbe trovare applicazione, ad esempio, il delitto di “resistenza pubblico ufficiale” di cui all’art. 337 del codice penale, che punisce “chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico, mentre compie un atto di ufficio o di servizio”.

Ad una precisa indicazione delle sanzioni non corrisponde tuttavia una precisa formulazione delle misure di contenimento, il cui precetto, in taluni casi, non risulta di immediata comprensione.

Tra le misure previste dal decreto, ad esempio, vi è quella di “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo […], nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.

In particolare, che cosa rientri esattamente nel perimetro della definizione di “comprovate esigenze lavorative” ha già destato non pochi interrogativi.

La formulazione definitiva di tale misura, peraltro, si discosta significativamente da quella indicata nella bozza di decreto circolata nelle ore immediatamente precedenti al Consiglio dei Ministri, che faceva invece riferimento ad “indifferibili esigenze lavorative”.

La sostituzione del termine “indifferibili” con “comprovate” sembrerebbe dunque far propendere per una interpretazione volta a garantire la continuità di tutte le attività lavorative, fermo restando l’obbligo dei datori di lavoro di attuare le misure di prevenzione e cautela previste dal decreto.

Quanto poi alle modalità con cui le esigenze lavorative dovrebbero essere “comprovate”, nel comunicato stampa relativo alla “Direttiva ai Prefetti per l’attuazione dei controlli nelle ‘aree a contenimento rafforzato’” del Ministro dell’Interno si precisa che: “gli spostamenti potranno avvenire solo se motivati da esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute da attestare mediante autodichiarazione, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione di moduli forniti dalle forze di polizia”.

In sostanza, quindi, in caso di controlli dell’Autorità, i lavoratori dovranno compilare sul posto una “autodichiarazione” fornita dalle Forze dell’Ordine, in cui attestano la sussistenza delle “esigenze lavorative”.

Alcuni Comuni delle aree di contenimento hanno peraltro già pubblicato sul proprio sito internet il modello di tale autodichiarazione.

Lo stesso Ministero dell’Interno ha infine precisato che “la veridicità dell’autodichiarazione potrà essere verificata anche con successivi controlli”.

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Davide Boffi

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