DE FALCO e GROMPE
Il contratto a termine dopo la conversione in legge del decreto dignità
Il 12 agosto è entrata in vigore la legge di conversione del Decreto Dignità (D.L. 96/2018) con cui è stato introdotto, tra l’altro, un nuovo regime per i contratti a termine.
La nuova normativa ha ridotto a 24 mesi la durata massima del contratto a termine, precisando che:
– per stipulare un contratto di durata pari a massimo 12 mesi e/o per le proroghe all’interno dei primi 12 mesi di rapporto: non servirà indicare una causale per giustificare il termine (contratto “acausale”);
– per stipulare un contratto di durata superiore a 12 mesi (e sempre entro i 24 mesi) oppure per prorogare il contratto oltre il periodo di 12 mesi e fino ai 24 mesi consentiti: servirà che sussista e che venga esplicitata nel contratto la motivazione dell’apposizione del termine tra quelle previste dalla legge (e poi l’azienda dovrà essere in grado di provarne la sussistenza in caso di contestazioni). Tali motivazioni sono:
- a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; oppure
- b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Nell’ambito di questi 24 mesi le proroghe potranno essere in ogni caso massimo 4.
La legge di conversione ha previsto che tale nuova regolamentazione debba applicarsi ai rinnovi contrattuali successivi al 31 ottobre 2018. Con l’introduzione di questa norma transitoria, le aziende devono muoversi con cautela per evitare errori. Riassumendo:
- le regole del Decreto Dignità si applicano immediatamente ai nuovi contratti a termine stipulati a partire dal 14 luglio 2018: senza indicazione della causale se di durata fino a 12 mesi, con causale per durata superiore a 12 mesi e per le proroghe oltre i 12 mesi;
- se attualmente un contratto a termine è in corso, non vi è alcun impatto della nuova normativa; mentre il nuovo regime si applica per l’eventuale rinnovo fatto dopo il 31 ottobre 2018: entro la durata dei 12 mesi non serve motivazione, oltre sì.
A completare il quadro, si segnala l’aumento del costo del lavoro a termine: il contributo addizionale a carico del datore di lavoro nell’ambito di ogni rinnovo del contratto a termine viene aumentato dello 0,5%. Pertanto, già dal 15 luglio 2018, tale contributo addizionale è salito al 1,9% (rispetto al 1,4% previsto dalla Legge Fornero nel 2012).
Infine, da tenere a mente che il termine per l’impugnazione del contratto a tempo determinato passa da 120 a 180 giorni dalla cessazione.
I nuovi limiti descritti, tra cui in particolare il ritorno della necessità di giustificare l’apposizione del termine e le proroghe, segnano il superamento definitivo di quanto previsto in materia dal 2015 dal Jobs Act, che aveva incentivato la stipulazione di contratti a termine, prevedendo una durata massima (lunga) fino a 3 anni e prevedendo che il datore di lavoro non fosse tenuto a provare la sussistenza di ragioni idonee per tale scelta, il tutto al fine di sfavorire invece forme di collaborazione diverse da quelle subordinate, con notevole semplificazione per le assunzioni a termine.
Tra i motivi di futuro contenzioso ci sarà certamente invece la richiesta di trasformazione in contratto a tempo indeterminato in caso di superamento del limite di durata massima e del numero di proroghe/rinnovi non giustificati come prevede la norma. Quindi se l’azienda prorogasse il contratto oltre i 24 mesi, oppure per 5 volte, il contratto di lavoro dovrebbe essere considerato a tempo indeterminato.
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