2018-03-13

GIANNI ORIGONI GRIPPO CAPPELLI

gianni origoni

Restrizioni alle vendite online e beni di lusso

di Avv. Eva Cruellas Sada, Dott.ssa Mariachiara Goglione

La Corte di Giustizia europea ha stabilito recentemente la compatibilità con il diritto della concorrenza del divieto di vendere prodotti di lusso su piattaforme di terzi (marketplaces), imposto dal produttore ai propri distributori autorizzati nel contesto di un sistema di distribuzione selettiva.
Il caso nasceva da una controversia sorta dinnanzi ad un giudice tedesco tra un fornitore di prodotti cosmetici di lusso (Coty Germany) e uno dei suoi distributori autorizzati in  Germania (Parfümerie Akzente), in relazione all’esclusione di quest’ultimo dalla rete di distribuzione selettiva di Coty a seguito della vendita di prodotti Coty su Amazon.de, in violazione del divieto imposto nel contratto di distribuzione.
Con sentenza del 6 dicembre 2017, la Corte di Giustizia europea, riprendendo un orientamento costante,ha ribadito che un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti non viola il divieto di intese anti-competitive previsto dall’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, purché la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi di natura qualitativa, stabiliti indistintamente per tutti i potenziali
rivenditori e applicati in modo non discriminatorio, e i criteri definiti non vadano oltre quanto necessario.
La Corte ha rammentato, in tale contesto, che la qualità di prodotti di lusso non risulta solo dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dallo stile e dall’immagine di prestigio che conferiscono loro un’aura di lusso. Tale aura costituisce un elemento essenziale di detti prodotti, nei limiti in cui essi possono così essere distinti, da parte dei consumatori, da altri prodotti simili. Un danno a tale aura di lusso può quindi compromettere la qualità stessa di tali prodotti.
La Corte ha dichiarato, quindi, che il divieto di intese anti-competitive previsto dal diritto dell’Unione europea non osta a prevedere una clausola contrattuale, come quella in esame, che vieti ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni:
(i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati,
(ii) deve essere stabilita indistintamente per tutti i rivenditori e applicata in modo non discriminatorio, e
(iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito.
A giudizio della Corte, il divieto imposto da un fornitore di prodotti di lusso ai suoi distributori autorizzati di avvalersi in modo riconoscibile di piattaforme terze per la vendita tramite internet di tali prodotti è quindi adeguato a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati. Inoltre, secondo la Corte, tale divieto non sembra neppure spingersi oltre quanto necessario per preservare l’immagine di lusso dei prodotti. Infatti, in assenza di un rapporto contrattuale tra il fornitore e le piattaforme terze che consenta al primo di esigere da queste ultime il rispetto delle condizioni di qualità che esso ha prescritto ai suoi distributori autorizzati, non si può ritenere che l’immagine di lusso dei prodotti sia sufficientemente tutelata autorizzando i distributori ad avvalersi di piattaforme di tal genere a condizione che queste ultime rispondano a requisiti qualitativi predeterminati.
Infine, la Corte ha affermato che il suddetto divieto non costituisce né una restrizione della clientela né una restrizione delle vendite passive agli utenti finali, e dunque non ricade nelle cosiddette restrizioni hardcore escluse dal beneficio dell’esenzione per categoria di cui al Regolamento UE No. 330/2010 sulle restrizioni verticali.
Nonostante la sentenza Coty segni un punto fermo sulla compatibilità, nel contesto di un sistema di distribuzione selettiva di beni di lusso, di clausole che vietino la presenza dei rivenditori autorizzati su piattaforme terze, essa non sembra risolvere tutti i dubbi in materia. In particolare, è prevedibile che possano sorgere, a livello delle Autorità e Giudici nazionali, orientamenti diversi sulla definizione di bene di lusso nonché in merito alle possibili implicazioni della sentenza Coty in relazione ai prodotti non di
2 lusso.

A questo ultimo riguardo, la pronuncia si presta a diversi livelli di lettura. Infatti, in alternativa ad un’interpretazione restrittiva (come quella che sembra adottare il Bundeskartellamt, l’Autorità antitrust tedesca), la sentenza Coty potrebbe avere implicazioni di ben più ampio spettro, anche di fuori dell’ambito dei beni di lusso, ponendo quindi degli interessanti profili di riflessione per tutti gli operatori.

ECruellas@gop.it

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