Il paradosso di Zenone e la legiferazione in materia di Artificial Intelligence (AI)
Secondo un recente studio condotto su un campione di circa 10.000 PMI e grandi imprese con sede nell’UE1, il 43% delle imprese intervistate che non fanno ancora uso di AI – ma con piani di farlo a breve – individua nella responsabilità per danni prodotti dall’AI la maggiore barriera “esterna” all’utilizzo della stessa: cui fa eco, per il 34% delle stesse, la sfiducia da parte dei cittadini, più accentuata nei Paesi dell’occidente e del meridione dell’UE che non in quelli settentrionali e orientali.
In effetti i due aspetti sono tra loro correlati: di più, costituiscono due facce della stessa medaglia.
Spinta anche da questi dati statistici – a corredo ed in stretta correlazione con l’AI Act , prima codificazione al mondo dell’AI – la Commissione Europea il 28 settembre 2022 ha adottato una proposta di direttiva sull’adattamento delle norme in materia di responsabilità extra-contrattuale all’AI (AI Liability Directive) che poggia essenzialmente su due principi cardine:
a) attribuzione al giudice competente del potere di ordinare (i) la disclosure di prove relative ad uno specifico sistema di AI ad alto rischio
sospettato di aver provocato danni e (ii) l’adozione di misure specifiche volte alla conservazione di tali prove; e
b) presunzione dell’esistenza del nesso di causalità, al ricorrere di talune circostanze, tra la negligenza del convenuto e il risultato prodotto (o non prodotto) dall’AI.
L’AI Liability Directive si confronta con la difficoltà – a volte insormontabile – che un utente finale che abbia sofferto danni per effetto dell’AI deve affrontare per dimostrare, secondo i canoni stringenti imposti dalla legge, che il danno di cui chiede il ristoro sia effettivamente la diretta conseguenza di un output (o mancato output) dell’AI. A complicare lo sforzo dell’intrepido utente in cerca di ristoro concorre anche la complessità e l’opacità che caratterizzano la c.d. value-chain dei prodotti digitali: per cui è spesso difficile, se non impossibile, provare il collegamento tra il danno sofferto e la negligenza che lo ha causato.
I poteri che si propone di attribuire al giudice non sono però illimitati, dovendosi comunque tener conto e salvaguardare l’interesse del fornitore di AI: dovranno quindi essere esercitati secondo necessità e proporzionalità, visto che la disclosure riguarderà inevitabilmente informazioni confidenziali e/o segreti industriali (con le immaginabili ricadute pregiudizievoli per il loro titolare).
Nella stessa direzione fin qui descritta dell’attribuzione dei (maggiori) poteri al giudice va l’ulteriore misura proposta della presunzione, fino a prova contraria, di collegamento causale tra la condotta negligente del convenuto e l’output prodotto (o mancato) dall’AI: a condizione, però, che (i) sia data prova che la negligenza del convenuto consista nella violazione di norme dell’Unione o nazionali tese a scongiurare i
danni di cui si chiede il ristoro, (ii) si possa ritenere ragionevolmente che la negligenza in questione abbia influenzato l’output prodotto (o mancato) dall’AI, e (iii) sia fornita evidenza del fatto the l’output – prodotto o mancato – abbia effettivamente prodotto il danno di cui si chiede il ristoro.
Le due misure proposte si stima che possano generare un incremento nel mercato dell’AI tra i 500mln€ e 1,1bln€ perché, garantendo l’accesso ad un sistema giurisdizionale efficiente, accrescerebbe la fiducia dei cittadini nell’AI. Le stesse società coinvolte nella value-chain dell’AI trarrebbero dall’accresciuta fiducia dei cittadini e da un’efficiente allocazione delle responsabilità e più in generale dalla certezza del diritto che ne conseguirebbe, una spinta ad investire ulteriormente nello sviluppo di AI.
Fin qui le buone notizie.
Per contro, i tempi della burocrazia sono ahimè inconciliabili con quelli dell’innovazione. Ci troviamo infatti, come si è detto, soltanto di fronte ad una proposta di direttiva. Questa dovrà essere approvata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo: una volta approvata, auspicabilmente in prima lettura, gli Stati Membri avranno due anni per implementarla.
Durante il tempo necessario perché le norme proposte diventino legge dello Stato, l’AI continuerà a svilupparsi e, con questa, la complessità delle problematiche ad essa connesse e da questa risolte; le norme risulteranno con ogni probabilità, se non addirittura obsolete, inadatte a disciplinare il nuovo contesto con cui saremo chiamati a confrontarci. I Paesi più attenti, nel frattempo, avranno legiferato autonomamente:
mentre proprio per la natura globale e transfrontaliera dell’AI ci sarebbe bisogno di una normazione a livello sopranazionale. Il che avrà inevitabili conseguenze sulla (libera) circolazione di beni e servizi, a cominciare dai territori della stessa UE: con l’ulteriore rischio di dar corso a disparità competitive tra imprese operanti nei diversi Stati Membri.
Il problema principale è che i legislatori ragionano in modalità analogica, con un occhio al presente, se non al passato prossimo: mentre l’umanità viaggia ormai nel pieno dell’era digitale, ad una velocità incommensurabilmente più elevata rispetto al tradizionale modo di legiferare. Siamo in effetti in presenza, come è stato giustamente rilevato, di una “discrasia tra tempi di intervento normativo, modelli
internazionali di cooperazione vigenti e velocità di elaborazione di algoritmi e operazioni di AI”.
Così procedendo l’arte di legiferare continuerà a inseguire, senza mai raggiungerla, l’innovazione, come – nel paradosso di Zenone – Achille “piè veloce” non raggiunge mai la tartaruga12: solo che nel nostro caso l’AI è una gazzella, ben più veloce di Achille e per questo sempre più irraggiungibile, a meno che non cambi significativamente il modus legiferandi!
Gianmatteo Nunziante, Partner
E: g.nunziante@nmlex.it
T.: +39 06 695181
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