2019-07-12

STUDIO LEGALE MENICHETTI

Reintegra anche per il lavoratore con contratto c.d. “a tutele crescenti” se il fatto è privo di rilievo disciplinare

di Andrea Abati

Il D.Lgs. 23/2015, introducendo il contratto c.d. “a tutele crescenti”, ha riformato la disciplina dei licenziamenti, prevedendo, all’art. 3, la nozione d’insussistenza del “fatto materiale contestato”, sottraendo al giudice – chiamato a valutare la fondatezza del licenziamento – ogni sindacato di proporzionalità tra la violazione addebitata al lavoratore e il recesso datoriale.

Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, tuttavia, l’insussistenza del “fatto materiale contestato” andrebbe posta in continuità con l’insussistenza del “fatto contestato”, di cui all’art. 18, c. 4, della L. 300/1970, così come modificato dalla L. 92/2012, con l’effetto di far conseguire, anche per i licenziamenti intimati sotto la vigenza della nuova legge (“Jobs Act”), la reintegra nel posto di lavoro laddove il fatto contestato – pur realmente  accaduto – sia privo di rilievo disciplinare, tornando, così, al concetto di “fatto giuridico”, sviluppatosi in relazione al quarto comma dell’art. 18.

Sul punto, la Corte di Cassazione è recentemente intervenuta con la sentenza n. 12174 del 08.05.2019, affermando che, invero, non v’è soluzione di continuità tra i due concetti, avvalorando l’interpretazione del fatto contestato come giuridico.

Ciò, sia in ragione della sostanziale corrispondenza terminologica tra la norma introdotta dal legislatore del 2015 e la novella dell’art. 18, c. 4, del 2012 e sia perché la struttura dell’art. 3 in parola, nei suoi lineamenti generali, riprende quella dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in considerazione del fatto che il legislatore ha inteso, comunque, attribuire “alla c.d. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale” (Cass. SS.UU. n. 30985/2017), alla luce della “garanzia costituzionale (del) diritto di non subire un licenziamento arbitrario” (Corte Cost. n. 541/2000).

Infatti, dopo una ricognizione dell’assetto legislativo e degli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul tema, la Suprema Corte ha affermato che “le espressioni utilizzate (id est: fatto materiale contestato) non possano che riferirsi alla stessa nozione di “fatto contestato” come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e che costituisce, all’attualità, diritto vivente”.

La Corte è giunta a tale conclusione forte di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’espressione “fatto materiale contestato”, che impone, secondo il principio di colpevolezza, che il fatto contestato sia attribuibile soggettivamente ed oggettivamente al lavoratore.

In altre parole, occorre che il fatto materiale, per essere contestabile, sia un fatto “non solo materialmente integrato ma anche di rilievo disciplinare”, come “fatto giuridico”, non essendo altrimenti imputabile al lavoratore un inadempimento contrattuale che non sia apprezzabile anche dal punto di vista giuridico.

In conclusione, con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha conferito nuovo corso al filone giurisprudenziale maturato con riferimento alla previgente disciplina, estendendo di fatto la tutela reintegratoria al lavoratore assunto in regime di tutele crescenti che venga licenziato per un fatto disciplinarmente irrilevante.

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