LE STORIE #14
PROGRAMMA COMUNICAZIONE – LE STORIE #14
Intervista a Javier Gomez Palacios, Co-founder e Managing Director di Tiger Italia
D: Javier, grazie per aver accettato il nostro invito. Come mai uno spagnolo che lavorava in Fiat ha deciso di importare un modello di business danese in Italia? Come è nata quest’idea?
R: Lavoravo per la Fiat a Madrid e nel 2001 mi hanno mandato a seguire un progetto per Alfa nell’ headquarter di Torino, al termine del quale sarei dovuto tornare in Spagna. Mi hanno però proposto poi di restare e di dedicarmi stavolta a seguire i modelli più innovativi del marchio Alfa Romeo.
A fine 2004, però, ho lasciato la Fiat: è stata una buona “palestra” per me e ho appreso molto ma era una situazione troppo statica. Successivamente, all’incirca per un anno, ho lavorato in una società di consulenza per poi diventare consulente in proprio: nel 2007, infatti, con un collega che avevo conosciuto in Fiat e che viveva in USA, abbiamo aperto una società di ricerche di mercato.
Nell’estate del 2010, passeggiavo per Calle Alcalá con mia moglie e la nostra attenzione è ricaduta su un negozietto “Tiger”. Ci ha colpito molto e, una volta ritornati a Torino, abbiamo cercato dove fossero i punti vendita in Italia: non ce n’erano. Abbiamo quindi cercato i contatti di Tiger in Danimarca per capire come poter diventare loro partner italiani; ci è stato richiesto un cv e un Business Plan triennale e, nonostante non avessimo tutti i requisiti … anzi, quasi nessuno (ride, ndr)… ci siamo candidati. Eravamo 5 soci: io, mia moglie il mio socio (della società di consulenza, ndr) e una coppia di amici. Abbiamo conosciuto i responsabili danesi di Tiger nel dicembre del 2010 e, prima ancora di incontrarli e di ricevere una risposta definitiva, avevamo già affittato il locale che avrebbe ospitato il primo negozio Tiger in Italia. Può sembrare una follia ma era veramente un’ottima occasione, perché in centro città e con una buona visibilità. Per fortuna l’incontro è andato bene.
D: Qual è il modello di business di Tiger, quali sono i punti di forza?
R: Ogni partnership di Tiger nel mondo riproduce la stessa struttura ossia una joint venture, 50% capitale sociale e 50% proveniente dalla casa madre. Dalla casa madre ci forniscono concept e prodotti mentre noi ci occupiamo delle operazioni locali.
Non abbiamo mai avuto grandi occasioni di visitare altri partner per vedere come gestivano il loro business e quindi molti aspetti abbiamo dovuto deciderli da soli. Per quanto riguarda la logistica, per esempio, era molto un ‘’fai da te’’. Ora, ormai, per i nuovi partner è tutto molto più chiaro. Ammetto che prendere alcune decisioni su come gestire il brand in Italia non è stato affatto facile… ma vi è era assoluta autonomia da parte della sede centrale in Danimarca.
Iniziamo sempre con contratti standard, non abbiamo mai assunto un responsabile di negozio; dopo un anno di contratto determinato, scatta quello a tempo indeterminato. È un modello che al momento sta funzionando.
Conoscevamo già il modello di business da utilizzare. Così tanta varietà a prezzi davvero competitivi può forse sembrare un paradosso ma ciò dipende soprattutto dal fatto che non vi sono intermediari tra il produttore e il cliente: vendiamo i prodotti al costo di produzione e il guadagno vi è comunque. Vi è un margine del 50% su tutti i mercati, nonostante le differenze tra paese e paese in cui Tiger è presente: se in Italia lo scontrino medio è di 5€, in Svizzera e in Norvegia raggiunge anche i 9€.
D: Da dove nascono le idee dei prodotti?
R: I responsabili danesi di Tiger vanno a molte fiere di settore (soprattutto in Asia) per scoprire nuove tendenze e raccogliere idee da riproporre poi nei negozi Tiger. Sono molto attenti alle novità proposte dal mercato e le sanno ben declinare all’interno del brand.
D: L’Italia è la patria del design anche nel mondo dell’oggettistica. Il fatto di offrire design low cost è stato ben accolto dagli italiani?
R: Direi assolutamente ben accolto. Pensa che tutti i prodotti ci vengono inviati dalla Danimarca e sono gestiti direttamente dalla casa madre. Non si possono opinare e, anche se talvolta ho avuto delle riserve a proposito di alcuni oggetti, spesso si sono rivelati invece un grande successo anche in Italia. Eclatante il caso del nano da giardino, sul quale personalmente non avrei mai scommesso… e invece qui in Italia è andato davvero a ruba, ha spopolato. Ci è stato richiesto addirittura da un’agenzia di Torino come testimonial di una campagna pubblicitaria!
Naturalmente ci sono tipologie di prodotti che vendono di più nel sud Europa piuttosto che nei paesi nordici (l’oggettistica per la spiaggia, ad esempio).
D: Se confrontiamo la risposta dell’Italia rispetto ad altri paesi del mondo, dove si colloca l’Italia? Il modello di Tiger in che mercati ha avuto più successo?
R: Il business è stato sempre basato sin dall’inizio sulla formula “design + prezzi stracciati”. In Italia, a differenza della Danimarca, si è anche voluto evidenziare molto di più il lato scherzoso del brand. L’ambiente e l’aspetto ludico infatti mancavano nel concept danese. Siamo stati i primi a far travestire i commessi con prodotti Tiger e ora è un aspetto imprescindibile di tutti i negozi del gruppo. Da luglio solo in Italia si lancerà una stampante 3D, un prodotto locale e all’avanguardia sviluppato a Torino.
Sebbene in Italia non ci sia mai stata tanta concorrenza per Tiger (a differenza di paesi come la Spagna e del Portogallo, ad esempio), non è stato comunque affatto facile avviare tale business. Aprire nuovi negozi Tiger nei centri storici delle città, per esempio, è davvero complesso: bisogna seguire così tante normative… e i tempi di attesa per avviare un’attività aumentano a dismisura. Bisogna anche dire che vendere diverse categorie merceologiche a 1/10 dei prezzi presenti sul mercato non ti rende simpatico a molti… Non sai quanto tempo ho trascorso tra Tribunali e Camere di Commercio negli ultimi anni!
In Italia però ci sono anche aspetti positivi; ad esempio, il fatto che il locatario ha molti più vantaggi sull’affitto dei locali.
D: Un negozio Tiger a Milano e uno a Seul, per esempio, si presentano nello stesso modo?
R: La differenza tra ogni store sta nella società che vi è dietro: anche all’interno dello stesso paese, come accade per esempio in Italia, i negozi Tiger possono essere gestiti da società differenti che hanno quindi possibilità di intervenire e dare l’indirizzo che ritengono più adeguato rispetto al mercato.
In Italia, appunto, coesistono 3 società Tiger: Tiger Italia Nord, Centro e Sud/Isole. Tiger Italia Nord è quello che fattura di più rispetto tutta la catena considerata a livello globale. Pensa che nella top 5 mondiale, dopo New York e Tokio, vi sono 3 negozi che si trovano a Milano, per la precisione quelli di Corso Buenos Aires, via Meravigli e del centro commerciale di Arese.
Al momento In Italia sono aperti 123 negozi che, proprio per quello che dicevo prima, tra loro possono essere gestiti anche in modo molto diverso.
I prodotti da spiaggia al nord e al sud vendono in maniera diversa e sarebbe ancora più carino sapersi differenziarsi di più.
D: Come mai Tiger non ha ancora un canale e-commerce?
R: Il successo ottenuto sin da subito da Tiger in Italia ha fatto sì che l’e-commerce non fosse esattamente una priorità. Ad oggi, nelle località dove Tiger non è presente, si effettuano consegne dei nostri prodotti ma non è ancora possibile acquistare online dal sito.
A febbraio solo in Italia è uscita l’App di Tiger, un progetto sviluppato in collaborazione con una start up torinese. In tre mesi abbiamo raggiunto oltre 80000 download, e tantissimi user. Anche al sud, infatti, è possibile scaricare la nostra App, ma non usarla… ancora, ma stiamo collaborando con i nostri colleghi del centro e sud dell’Italia per renderla disponibile anche ai loro clienti.
In ogni caso grazie alla digitalizzazione, stiamo facendo dei veri passi da gigante. Siamo in grado di segmentare il target molto più facilmente e questo aiuta moltissimo nella comunicazione dei prodotti, riuscendo a indirizzare loro offerte personalizzate.
D: Sappiamo che tu e la tua socia (nonché moglie), Ana Combalia, non vi fermate di certo qui e che volete introdurre in Italia altri business model di successo. Cosa puoi raccontarci dei tuoi progetti futuri?
R: Al momento stiamo puntando su Depiline, che in realtà è un progetto di Ana. Sono dei centri estetici in franchising dal concept innovativo, aperti dal lunedì al sabato con orario continuato dalle 10 alle 20 e nei quali non è necessario prendere appuntamento. Ciò garantisce grande flessibilità alle clienti e si adatta molto bene allo stile di vita moderno. In Spagna sono già stati aperti circa 80 centri (è infatti un concept spagnolo) ed è la prima volta che il brand esce dal Paese. Il primo centro in Italia lo abbiamo aperto a Torino e, nonostante la formula necessiti un po’ di tempo, i primi risultati sono davvero molto buoni. Sono inoltre sempre più vicino al mondo delle start up, soprattutto a quelle che gravitano nella zona di Torino.
In bocca al lupo Javier!
Progetto co-finanziato con:
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