2020-03-25

L’EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA DA “COVID-19”

L’emergenza epidemiologica da «COVID-19»1 in atto nel nostro Paese ha importanti ricadute sui rapporti di lavoro dipendente.

Dal punto di vista normativo, la situazione è particolarmente fluida e in continuo aggiornamento: occorre, quindi, mantenerla costantemente monitorata, perché ciò che è valido oggi, potrebbe non esserlo più domani.

Le informazioni di seguito riportate sono aggiornate al D.l. 17 marzo 2020 n. 18, il c.d. “Decreto Cura Italia”, recante “misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

1.       L’obbligo datoriale di tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori

In termini generali, il datore di lavoro è giuridicamente tenuto ad adottare tutte le misure di sicurezza necessarie a garantire l’integrità fisica e la personalità morale dei suoi dipendenti e, in base al D.lgs. 81/2008, ha la specifica “responsabilità di tutelare i lavoratori dall’esposizione a rischio biologico”, quale è certamente il caso del virus SARS-CoV-2.

Al fine di agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, il 14 marzo 2020 le Parti Sociali – in attuazione dell’art. 1, comma 1, n. 9), del DPMC 11 marzo 2020, che, in relazione alle attività produttive, ha raccomandato intese tra organizzazioni datoriali e sindacali – hanno sottoscritto un “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro”.

Anche in attuazione del Protocollo, è, anzitutto, opportuno che, previa consultazione con il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), il Medico Competente e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), nel caso anche territoriale (RLST), il datore di lavoro:

  • proceda a una nuova valutazione del rischio, anche biologico, e al relativo aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), dando conto delle misure precauzionali assunte per tutelare i propri dipendenti dal rischio di contagio;
  • predisponga appositi protocolli anti-contagio – in linea con le indicazioni concordate dalle Parti Sociali, a livello nazionale, nel Protocollo del 14 marzo 2020

– aggiornando le procedure e i piani di emergenza (che dovranno essere tempestivamente portati a conoscenza dei lavoratori) tenendo conto delle specificità di ogni singola unità produttiva e delle situazioni territoriali;

  • predisponga la documentazione informativa sulle precauzioni anti-contagio e sulle condotte da tenere sul posto di lavoro e sui numeri di emergenza aziendali, regionali e nazionali da contattare, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali, appositi dépliant informativi (che riportino, tra il resto, l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico e l’autorità sanitaria, e l’obbligo di dichiarare tempestivamente il manifestarsi di tali sintomi anche successivamente all’ingresso in azienda, ecc.);
  • attui il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile o smart working per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza (v. infra);
  • disponga la sospensione delle attività nei reparti non indispensabili per la produzione (v. infra) e, comunque, provveda al contingentamento di accessi e spostamenti all’interno dei locali aziendali (g. locali mensa o bagni);
  • adotti tutte le misure necessarie per garantire la sanificazione degli ambienti di lavoro, assicurando la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni (nonché, in particolare, a fine turno, delle tastiere, degli schermi touch, dei mouse, ecc.), con adeguati detergenti, sia negli uffici sia nei reparti produttivi, con la possibilità di organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali, anche in deroga (v. infra);
  • provveda all’aggiornamento del Documento unico per la valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI) predisposto in relazione a contratti di appalto e della documentazione informativa da mettere a disposizione di eventuali terzi che dovessero accedere ai locali aziendali e/o entrare in contatto con i dipendenti, aggiornando le procedure di accesso ai medesimi locali aziendali;
  • mettere a disposizione dei dipendenti dispositivi di protezione individuale, quali maschere protettive e guanti monouso per le ipotesi in cui dovesse rivelarsi necessario il loro utilizzo, come nel caso in cui il lavoro imponga di lavorare a una distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative (v. infra);
  • valuti con il Medico Competente ogni intervento necessario e/o opportuna modifica alle procedure per adempiere agli obblighi di sorveglianza sanitaria, che deve proseguire nel rispetto delle misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute (c.d. decalogo) e privilegiando le visite preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da malattia;
  • sospenda o annulli tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità “in aula”, anche obbligatoria, ferma restando la possibilità di procedere alla formazione a

Il datore di lavoro è, altresì, tenuto a valutare i dipendenti con particolari condizioni di salute (come, per esempio, le lavoratrici in gravidanza) e ad adottare misure specifiche idonee a tutelarne la salute sul lavoro, come lo svolgimento della prestazione lavorativa da remoto. Il Protocollo del 14 marzo 2020 prevede espressamente che il Medico Competente deve segnalare all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti, fermo restando l’obbligo dell’azienda di provvedere alla loro tutela nel rispetto della privacy (v. infra).

Se il datore di lavoro si accorge della presenza di un soggetto che risponde alla definizione di “caso sospetto”, ha il dovere di procedere al suo immediato isolamento, in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria, nonché a quello degli altri soggetti presenti nei locali aziendali, evitando contatti ravvicinati con la persona che potrebbe avere contratto la malattia e prestando attenzione alle superfici con cui è venuto a contatto. Bisogna, inoltre, fare eliminare direttamente dal soggetto interessato i fazzoletti di carta utilizzati, gettandoli in un sacchetto impermeabile che sarà smaltito con i materiali prodotti durante le attività sanitarie del personale di soccorso. L’azienda dovrà, inoltre, contattare immediatamente i servizi sanitari ai numeri di emergenza forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute.

A seguito dell’entrata in vigore del Decreto Cura Italia, la misura della quarantena con sorveglianza attiva per gli individui che hanno avuto contatti con casi confermati di COVID-19 non si applica ai dipendenti delle imprese che operano nell’ambito della produzione e dispensazione dei farmaci e dei dispositivi medici e diagnostici, nonché delle relative attività di ricerca e della filiera integrata per i subfornitori. Tali lavoratori sospendono l’attività solo nel caso di sintomatologia respiratoria o esito positivi per COVID-19.

In caso di accertata positività di un lavoratore al COVID-19, si dovrà procedere a sanificazione e pulizia straordinaria degli ambienti di lavoro, attenendosi, altresì, a ogni altra prescrizione che dovesse essere imposta dall’Autorità competente.

2.       Le misure da adottare per la gestione del personale dipendente

 Considerata la elevata contagiosità del virus SARS-CoV-2, la normativa emergenziale volta a contrastare e contenere la pandemia (tra cui, in particolare, il DPCM 8 marzo 2020, il DPCM 9 marzo 2020 e il DPMC 11 marzo 2020) ha dapprima vietato ogni spostamento in entrata, in uscita e all’interno del territorio nazionale – se non motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o ragioni di salute – e successivamente disposto, con alcune eccezioni, la sospensione delle attività commerciali e dei servizi di ristorazione e di cura alla persona, dettando delle raccomandazioni specifiche per gli altri settori, non oggetto di sospensione, ivi inclusi i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché le attività produttive e le attività professionali.

Previsioni normative ad hoc sono state, inoltre, dettate con riguardo alle pubbliche amministrazioni e ai servizi di trasporto pubblico locale, automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, aereo e marittimo, con attribuzione al Ministero delle infrastrutture e dei trasposti, di concerto con il Ministero della Salute, nonché alle Regioni, il potere di limitare, per quanto di competenza, tali servizi, assicurando comunque i servizi minimi essenziali.

Il Protocollo del 14 marzo 2020 contiene, poi, le linee guida condivise tra le Parti Sociali riguardanti le misure organizzative straordinarie da adottare al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus.

2.1.   La sospensione dell’attività

 Il DPCM 11 marzo 2020 ha imposto la sospensione delle attività commerciali e dei servizi di ristorazione e di cura alla persona, fatta eccezione per le attività individuate negli appositi allegati (e.g. di vendita di generi alimentari e di prima necessità, farmacie, etc.), e fermo restando, per tutte le attività non sospese, l’obbligo di garantire la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

Si segnala che sono espressamente escluse dall’obbligo di sospensione le mense e i catering continuativo su base contrattuale che garantiscano tale distanza di sicurezza. Nel rispetto di tale prescrizione e dei protocolli sanitari in atto presso le imprese, le mense aziendali restano, dunque, attive in favore dei dipendenti. La sospensione dei servizi di cura alla persona è, invece, generalizzata (fatta eccezione, come detto, per le attività indicate nell’apposito allegato, e.g. lavanderie e tintorie) e riguarda, pertanto, anche quelle eventuale svolte nei locali aziendali in favore del personale cui sia stato garantito tale benefit.

Il medesimo DPCM 11 marzo 2020 ha, inoltre, raccomandato alle imprese la sospensione delle attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione.

Stante il tenore letterale delle disposizioni in commento, pare trattarsi di due forme di sospensione differenti: la prima, attuata per decisione dell’autorità; la seconda, disposta soltanto a seguito di una valutazione rimessa al datore di lavoro e su iniziativa di quest’ultimo. Tale differenza appare senz’altro rilevante, tenuto conto delle implicazioni che la sospensione può portare con sé, primo fra tutte l’eventuale venire meno dell’obbligo datoriale di corrispondere la retribuzione.

A questo proposito, sembra corretto affermare che la sospensione obbligatoria dell’attività non sia imputabile al datore di lavoro e che possa, dunque, legittimare quest’ultimo a non corrispondere il trattamento retributivo riferito al periodo di sospensione. Di contro, nel caso della sospensione dell’attività dei reparti aziendali attuata dalle imprese a seguito di una valutazione di non indispensabilità ai fini della produzione, la non imputabilità della stessa potrebbe essere messa in discussione (vuoi in quanto oggetto – quantomeno all’apparenza – di una mera “raccomandazione”, vuoi perché rimessa a una valutazione datoriale), anche se non può escludersi a priori che, a determinate condizioni, pure l’attività produttiva debba essere soppressa in esecuzione dell’obbligo generale incombente sul datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti. Nella seconda forma di sospensione, dunque, il venire meno del diritto dei lavoratori sospesi alla retribuzione non appare scontato.

In ogni caso, in entrambe le ipotesi di sospensione, soccorrono gli ammortizzatori sociali (v. infra).

Nel Protocollo del 14 marzo 2020, le Parti Sociali hanno ribadito che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione, invitando comunque le imprese a disporre la chiusura fisica di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working (v. infra).

  • Il lavoro agile o smart working

 Anche a seguito dell’emanazione del DPCM 11 marzo 2020 e alla sottoscrizione del Protocollo, la misura cautelare primaria è rappresentata, per le attività e i servizi non oggetto di sospensione e nella misura in cui sia praticabile, dal cd. lavoro agile o smart working2 il quale è ammesso, anche in assenza di accordi individuali, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (e, dunque, per il momento, sino al 31 luglio 2020) e rimane attivabile, con il consenso del lavoratore, anche successivamente.

Per tutte le attività non soppresse che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza, viene, infatti, raccomandato alle imprese il massimo utilizzo del lavoro agile.

Per agevolarne il ricorso, oltre ad avere temporaneamente attribuito al datore di lavoro il diritto di disporlo unilateralmente, si è prevista la possibilità di adempiere agli obblighi di informativa scritta in materia di sicurezza sul lavoro3 per via telematica, anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL.

Il Decreto Cura Italia ha, inoltre, previsto che, fino al 30 aprile 2020, a condizione ciò sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa, i lavoratori dipendenti nelle condizioni di disabilità di cui all’art. 3, comma 3, L. 104/1992 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con tale disabilità hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile (laddove, sul punto, la L. 81/2017 si limita a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione della prestazione in modalità agile presentate dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ex L. 104/1992).

Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è stata, poi, riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento della prestazione in modalità agile. Questa previsioni si aggiunge alla priorità riconosciuta direttamente dalla L. 81/2017 alle richieste di esecuzione della prestazione in modalità agile presentate dalle lavoratrici madri nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità.

2.3.   Ferie e congedi

La misura precauzionale individuata dalla normativa emergenziale quale prima alternativa allo smart working è rappresentata dalla fruizione di ferie e congedi (e degli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva).

Tenuto conto del contesto emergenziale in atto, si ritiene che l’azienda possa disporre la fruizione delle ferie e dei congedi in maniera forzosa, e ciò nonostante la previsione in commento sia oggetto di una “raccomandazione” a “incentivarne” l’attuazione. Ove

possibile, il datore di lavoro dovrà, però, prediligere la misura dello smart working, e tenere in ogni caso conto della disciplina di cui alla contrattazione collettiva.

Nel Protocollo del 14 marzo 2020, le Parti Sociali hanno indicato come prioritario il ricorso agli ammortizzatori sociali disponibili, nel rispetto degli istituti contrattuali (i.e. par, rol, banca ore) finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione, limitando l’utilizzo dei periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti ai casi in cui ciò non risulti sufficiente.

1.1.   Protocolli anti-contagio e norme igienico-sanitarie presso le sedi

 Qualora si tratti di attività lavorative non oggetto di sospensione che richiedano la presenza fisica del dipendente sul luogo di lavoro, il datore di lavoro dovrà approntare tutti gli strumenti indicati dagli esperti in grado di migliorare la salubrità dell’ambiente di lavoro, anche alla luce di quanto contenuto nel Protocollo del 14 marzo 2020.

Si tratta, quindi, di procedere alla installazione di erogatori di gel antibatterici, alla sanificazione delle superfici e degli ambienti di lavoro, alla dotazione di mascherine protettive e guanti da potere usare in caso di necessità, nel delle indicazioni delle autorità competenti (v. supra).

Con particolare riferimento agli strumenti di protezione individuale, il DPCM 11 marzo 2020 e il Protocollo del 14 marzo 2020 ne ha raccomandato l’adozione tutte le volte in cui non sia possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro, favorendo, in caso di difficoltà di approvvigionamento, la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’uso di mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dell’autorità sanitaria.

Sul punto, il Decreto Cura Italia ha previsto che, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (e, dunque, sino al 31 luglio 2020), per i lavoratori che nello svolgimento delle loro attività sono impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall’art 34, comma 3, D.l. 9/2020. Fino a tale data, è autorizzato l’uso di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio.

Peraltro, il medesimo Decreto Cura Italia ha previsto l’erogazione di contributi alle imprese per l’acquisto di dispositivi e altri strumenti di protezione individuale nonché il riconoscimento, ai soggetti esercenti attività di impresa, arte o professione, per il periodo di imposta 2020, di un credito di imposta nella misura del 50% delle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro, sostenute e documentate fino a un massimo di € 20.000 per ciascun beneficiario.

Per le attività produttive, il DPCM 11 marzo 2020 ha, inoltre, raccomandato di limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e di contingentare l’accesso agli spazi comuni. Queste disposizioni perseguono l’evidente obiettivo di limitare al massimo la possibilità di contagio all’interno degli stabilimenti, sia tra il personale impiegato nei singoli reparti, sia tra il personale in forza nei diversi reparti della medesima unità produttiva. Possibili misure attuative potrebbero essere rappresentate dalla riorganizzazione dei turni di lavoro e delle pause, con conseguente riduzione della popolazione contemporaneamente presente negli ambienti condivisi.

Nella stessa direzione, il Protocollo del 14 marzo 2020 ha previsto che l’accesso agli spazi comuni (comprese le mense aziendali, le aree fumatori e gli spogliatoi) deve essere contingentato, richiedendo la ventilazione continua dei locali, la previsione di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e il mantenimento della distanza di sicurezza di un metro tra le persone che li occupano. Le imprese sono state, inoltre, sollecitate a procedere alla rimodulazione dei livelli produttivi, ad assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione, a favorire orari di ingresso e di uscita scaglionati (dedicando, ove possibile una porta di entrata e una di uscita dai locali condivisi), a limitare al minimo indispensabile gli spostamenti all’interno del sito aziendale e a evitare, per quanto possibile, le riunioni che richiedano la presenza fisica dei lavoratori.

A seguito dell’entrata in vigore del DPCM 9 marzo 2020, nei loro spostamenti da e verso il luogo di lavoro, i lavoratori sono ammessi a comprovare il motivo lavorativo di tali spostamenti con qualsiasi mezzo, ivi compresa una autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, anche sul modello reso disponibile sul sito istituzionale del Ministero dell’Interno.4 Quest’ultimo, nella versione aggiornata, prevede che l’interessato dichiari, tra il resto, di non trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 1, comma 1, lett. c) del DPCM 8 marzo 2020, che reca un divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al COVID-19.

In considerazione della limitazioni agli spostamenti non solo in entrata e in uscita, ma altresì all’interno del territorio nazionale disposte dal DPCM 9 marzo 2020, si ritiene che le trasferte di lavoro debbano essere sospese, ad esclusione di quelle motivate da comprovate esigenze che ne attestino la necessità. Sul punto, nel Protocollo del 14 marzo 2020 le Parti Sociali hanno coerentemente esplicitato che tutte le trasferte e i viaggi di lavoro, anche se già concordati o organizzati, devono essere sospesi o annullati.

In aggiunta, in conformità con le indicazioni dettate dalla circolare del Ministero della Salute il 3 febbraio 2020, il datore di lavoro deve invitare i propri dipendenti a ricorrere alle comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria, ossia i sistemi di prevenzione più comuni, quali lavarsi frequentemente e accuratamente le mani, fare attenzione all’igiene delle superfici, evitare contatti stretti con persone che presentano sintomi.

Laddove il datore di lavoro abbia dato puntuale esecuzione alla normativa emergenziale e, in particolare, abbia adottato ogni cautela igienico-sanitaria a tutela dei propri dipendenti, ivi incluse quelle di cui al Protocollo del 14 marzo 2020, l’eventuale rifiuto del lavoratore di prestare l’attività lavorativa non sarebbe giustificato. Il lavoratore si esporrebbe, dunque, a responsabilità disciplinare, essendo il proprio rifiuto legittimo soltanto nel caso in cui l’adempimento della prestazione lavorativa metta in pericolo la sua integrità psico-fisica.

1.       Gli ammortizzatori sociali

 Il D.l. 2 marzo 2020 n. 9 ha, inizialmente, introdotto una serie di misure speciali a sostegno delle aziende ubicate nei Comuni facenti parte delle ormai ex “zone rosse” e, più in generale, di quelle ubicate nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, e dei loro dipendenti lì residenti o domiciliati.

Il Decreto Cura Italia ha, poi, dettato delle norme speciali in tema di ammortizzatori sociali (in particolare, gli artt. 19-22), applicabili all’intero territorio nazionale.

A questo proposito, si ricorda che il Protocollo del 14 marzo 2020 ha sollecitato il ricorso agli ammortizzatori sociali, anche in deroga: (i) raccomandando l’utilizzo in via prioritaria degli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione; (ii) precisando, in riferimento allo smart working, che in caso di ricorso alla cassa integrazione l’azienda debba valutare la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni; e (iii) suggerendo il ricorso a tali misure per organizzare gli interventi particolari/periodici di pulizia nei luoghi di lavoro.

1.1.   Le (ormai ex) “zone rosse”

 In ragione dell’emergenza epidemiologica in atto, l’art. 13 D.L. 9/2020 ha previsto la possibilità per i datori di lavoro delle zone in commento di presentare domanda di cassa integrazione ordinaria e di assegno ordinario, con modalità semplificate, con l’apposita causale “COVID-19 D.l. n. 9/2020”, per un massimo di tre mesi.

L’assegno ordinario è concesso anche ai datori di lavoro iscritti al FIS che occupano mediamente più di 5 dipendenti.

Inoltre, a mente dell’art. 15 D.l. 9/2020, le aziende per le quali non trovano applicazione le tutele in materia di sospensione e riduzione di orario comuni (e, dunque, quelle previste dal noto D.lgs. 148/2015) possono presentare domanda di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e, comunque, per un periodo massimo di tre mesi a decorrere dal 23 febbraio 2020.

Si segnala che lo strumento in commento resta attivabile anche a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Cura Italia e degli ammortizzatori sociali ivi contenuti (v. infra). Al raggiungimento dei limiti di spesa previsti dal D.l. 9/2020, le imprese potranno comunque accedere, nel rispetto delle relative disposizioni normative, ai nuovi strumenti a sostegno del reddito.

Peraltro, il 6 marzo 2020 Assolavoro e le organizzazioni sindacali del settore della somministrazione di lavoro hanno sottoscritto un accordo volto a introdurre una procedura semplificata per l’accesso al trattamento di integrazione salariale per i lavoratori in somministrazione nonché a consentire l’attivazione di un trattamento in deroga nel caso in cui l’utilizzatore non attivi alcun ammortizzatore sociale.

1.2.   Le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna

 Al di fuori dei casi di cassa integrazione salariale in deroga prevista per le ex “zone rosse”, i datori di lavoro del settore privato, compreso quello agricolo, che non abbiamo accesso agli ammortizzatori sociali comuni, possono chiedere il riconoscimento, limitatamente ai casi di accertato pregiudizio, in conseguenza delle ordinanze emanate dal Ministero della salute, d’intesa con le Regioni nell’ambito dei provvedimenti assunti con il D.l. 6/2020, e previo accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, del trattamento di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e, comunque, per un periodo massimo di un mese.

A questo proposito, si segnala che il 10 marzo 2020 Regione Veneto e Regione Emilia- Romagna hanno sottoscritto con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative degli accordi volti a consentire l’applicazione del trattamento in deroga sopra indicato. Regione Lombardia e le parti Sociali hanno sottoscritto un accordo quadro riguardante i criteri e le modalità operative per il ricorso alle tipologie di intervento previste.

Al pari della cassa integrazione in deroga prevista dal D.l. 9/2020 per le “zone rosse”, anche lo strumento in commento resta attivabile a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Cura Italia (v. infra). Anche in questo caso, al raggiungimento dei limiti di spesa, le imprese potranno comunque accedere, sussistendone i requisiti, ai nuovi strumenti a sostegno del reddito.

Si segnala, inoltre, che l’ambito di applicazione dell’accordo del 6 marzo 2020 tra Assolavoro e le organizzazioni sindacali del settore della somministrazione di lavoro (v. supra) comprende anche le aree c.d. “gialle” (ed è stato poi esteso all’intero territorio nazionale, v. infra).

1.3.   L’intero territorio nazionale

 In data 10 marzo 2020 Assolavoro e le organizzazioni sindacali del settore della somministrazione di lavoro hanno esteso a tutta l’Italia le procedure di trattamento di integrazione salariale semplificate e di trattamento di integrazione salariale in deroga di cui al precedente accordo del 6 marzo 2020 (v. supra).

Il Decreto Cura Italia ha, da ultimo, dettato delle norme speciali in tema di ammortizzatori sociali, applicabili all’intero territorio nazionale:

  • Trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario: i datori di lavoro che nel 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione del trattamento di cassa integrazione ordinaria o di accesso all’assegno ordinario con l’apposita causale emergenza COVID-19”, per i periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 per una durata massima di 9 settimane, e comunque entro il mese di agosto

L’assegno ordinario è concesso anche ai lavoratori dipendenti presso datori di lavoro iscritti al Fondo di integrazione salariale (FIS) che occupano mediamente più di 5 dipendenti.

Il Decreto Cura Italia ha previsto una procedura semplificata, in deroga alla normativa applicabile agli ammortizzatori sociali “comuni”. Tra il resto, il datore di lavoro richiedente è dispensato dall’osservanza dell’art. 14 e dai termini di procedimento dell’art. 15 D.lgs. 148/2015, fermi restando l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto, che devono essere svolti in via telematica, entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva.

La domanda deve essere presentata entro la fine del quarto mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività, e non è soggetta alla verifica delle causali di cui all’art. 11 D.lgs. 148/2015, né è dovuto il versamento del contributo addizionale di cui all’art. 5 D.lgs. 148/2015.

I lavoratori destinatari devono risultare alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti alla data del 23 febbraio 2020, non applicandosi il requisito di cui all’art. 1, comma 2, D.lgs. 148/2020, che postula il possesso di un’anzianità di effettivo lavoro di almeno novanta giorni presso l’unità produttiva per la quale è richiesto il trattamento.

Gli artt. 20 e 21 del Decreto Cura Italia prevedono la concessione del trattamento ordinario anche per le aziende che si trovano già in CIGS o per i datori di lavoro che hanno trattamenti di assegni di solidarietà in corso, nel qual caso il trattamento ordinario sospende e sostituisce il trattamento straordinario o di solidarietà già in corso. Anche in tale caso non è dovuto il versamento del contributo addizionale di cui all’art. 5 D.lgs. 148/2015.

  • Trattamento di integrazione salariale in deroga: i datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario possono chiedere, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, previo accordo con le OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che può essere concluso anche per via telematica, la concessione da parte delle Regioni e delle Province autonome di un trattamento di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo non superiore a 9 settimane.

L’accordo non è richiesto per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti.

Per i lavoratori è riconosciuta la contribuzione figurativa e i relativi oneri accessori.

Il trattamento è concesso con decreto delle Regioni e delle Province autonome, che istruiscono le domande secondo l’ordine cronologico di presentazione.

Le prestazioni di sostegno al reddito sono riconosciute entro determinati limiti massimi di spesa. L’INPS provvede a monitorare le domande affinché i limiti di spesa previsti siano rispettati ed informa, per quanto di competenza, il Ministero del lavoro, le Regioni e le Province autonome dei risultati di tale attività in quanto, in caso di raggiungimento, anche in via prospettica, dei limiti in parola, non potranno in ogni caso essere emessi ulteriori provvedimenti concessori.

2.       Misure in materia di riduzione dell’orario di lavoro e di sostegno ai lavoratori

 Il Decreto Cura Italia ha dettato ulteriori norme speciali, in materia di riduzione dell’orario di lavoro e di sostegno ai lavoratori, che prevedono, tra il resto, il ricorso e l’attuazione delle seguenti misure:

  • Congedo speciale per genitori lavoratori: in conseguenza dei provvedimenti di sospensione dei servizi educativi e per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, è prevista la fruizione di un congedo speciale, per un periodo continuativo o frazionato, comunque non superiore a 15 giorni, per figli di età non superiore ai 12 anni o, senza limite di età, per figli con disabilità in situazione di gravità ex 104/1992 iscritti a scuole di ogni ordine e grado o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale, per:
  1. genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con diritto a una indennità pari al 50% della retribuzione calcolata ex lgs. 151/2011, con copertura da contribuzione figurativa (e conversione degli eventuali periodi di congedo parentale in corso);
  2. genitori lavoratori iscritti alla Gestione separata INPS, con diritto a una indennità pari, per ciascuna giornata indennizzabile, al 50% di 1/365 del reddito individuato secondo la base di calcolo per la determinazione dell’indennità di maternità;
  3. genitori lavoratori autonomi iscritti all’INPS con diritto a una indennità pari, per ciascuna giornata indennizzabile, al 50% della retribuzione convenzionale giornaliera stabilita annualmente dalla legge (a seconda del tipo di lavoro autonomo svolto).

Il congedo è riconosciuto alternativamente a entrambi i genitori, per un totale di 15 giorni, ed è subordinato alla condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività o altro genitore disoccupato o non lavoratore.

In alternativa al congedo, per i medesimi lavoratori beneficiari, è prevista la possibilità di scegliere la corresponsione di un bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di € 600, erogati mediante il libretto famiglia. Il bonus è erogato anche ai lavoratori autonomi non iscritti all’INPS e, per i lavoratori dipendenti del settore sanitario, pubblico e privato accreditato (medici, infermieri, tecnici di laboratorio, di radiologia medica e degli operatori sanitari) è riconosciuto nel limite massimo complessivo di € 1.000.

  • Diritto di astensione per genitori lavoratori: i lavoratori dipendenti del settore privato, con figli di età compresa tra i 12 e i 16 anni, subordinatamente alla condizione sopra indicata, hanno diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di sospensione dei servizi educativi e delle attività didattiche, senza corresponsione di indennità né contribuzione figurativa, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di
  • Estensione durata permessi retribuiti ex art. 33 L. 104/1992: il numero dei giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all’art. 33, comma 3, 104/1992 è incrementato di ulteriori complessivi 12 giorni, usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020.
  • Periodo di sorveglianza attiva: il periodo trascorso in quarantena o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori del settore privato è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto.

Fino al 30 aprile 2020, per i dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ex L. 104/1992 e con certificazione attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie è equiparato al ricovero ospedaliero.

In deroga alle disposizioni vigenti, gli oneri a carico del datore di lavoro e degli enti previdenziali sono a carico dello Stato.

  • Disposizioni INAIL: nei casi accertati di COVID-19 in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL, che assicura la relativa tutela all’infortunato.

Le prestazioni INAIL sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa.

  • Indennità per il mese di marzo 2020: ai seguenti lavoratori è riconosciuta una indennità per il mese di marzo 2020 pari a € 600, che non concorre a formale il reddito ed è erogata dall’INPS:
  1. lavoratori stagionali del settore del turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020, non titolari di pensione e non titolari di rapporto di lavoro dipendente;
  2. operai agricoli a tempo determinato, non titolari di pensione, che nel 2019 abbiano effettuato almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo;
  3. liberi professionisti titolari di Iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di co.co.co. attivi alla medesima data, iscritti alla Gestione separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie;
  4. lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’AGO, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie;
  5. lavoratori iscritti al Fondo pensioni Lavoratori dello spettacolo, con almeno 30 contributi giornalieri versati nel 2019, con reddito non superiore a € 000, non titolari di pensione e non titolari di rapporto di lavoro dipendente al 17 marzo 2020.

Le indennità sopra indicate sono erogate entro determinati limiti di spesa.

  • Fondo per il reddito di ultima istanza: al fine di garantire misure di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti e autonomi che, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro, è stato istituito un “Fondo per il reddito di ultima istanza”, volto a garantire il riconoscimento di una indennità, i cui criteri di proprietà e modalità di attribuzione sono demandati a un decreto del Ministero del Lavoro da adottare entro 30 giorni dal 17 marzo
  • Proroga termini domande NASpI e DIS-COLL: per gli eventi di cessazione involontaria dall’attività lavorativa verificatisi a decorrere dal 1° gennaio 2020 e sino al 31 dicembre 2020, i termini di decadenza ex 6, comma 1, e 15, comma 8, D.lgs. 22/2015 per la presentazione delle domande di disoccupazione NASpI e DIS-COLL sono stati ampliati da 68 a 128 giorni.

Resta, invece, salva la decorrenza della prestazione dal sessantottesimo giorno successivo alla data di cessazione involontaria del rapporto di lavoro.

  • Licenziamenti collettivi e individuali: per il periodo di 60 giorni dal 17 marzo 2020:
  1. è precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo;
  2. sono sospese le procedure di licenziamento collettivo pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020;
  3. il datore di lavoro, indipendentemente dal numero di dipendenti, non può recedere per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 604/1966.

Nessuna disposizione è dettata per il licenziamento individuale del dirigente né in relazione alle conseguenze sanzionatorie eventualmente applicabili ai licenziamenti irrogati in violazione del divieto.

L’art. 47 del Decreto prevede, invece, che, fino al 30 aprile 2020, l’assenza dal posto di lavoro da parte di uno dei genitori conviventi di una persona con disabilità non può costituire giusta causa ex art. 2119 c.c., a condizione che sia preventivamente comunicata e motivata l’impossibilità di accudire la persona con disabilità a seguito della sospensione delle attività dei Centri semiresidenziali, comunque denominati dalle normative regionali, a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e socio sanitario per persone con disabilità.

  • Premio per i lavoratori dipendenti: ai titolari di reddito dipendente che possiedono un reddito complessivo da lavoro dipendente nell’anno precedente di importo non superiore a € 000 spetta un premio, per il mese di marzo 2020, che non concorre alla formazione del reddito, pari a € 100 da rapportare al numero di giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro nel predetto mese.

Il premio è riconosciuto in via automatica dal datore di lavoro, che lo eroga, se possibile, a partire dalla retribuzione di aprile e comunque entro il termine di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno. Il sostituto di imposta recupera il premio erogato attraverso l’istituto della compensazione di cui all’art. 17 D.lgs. 241/1997.

3.       Misure in materia di versamenti di contributi e premi

Il D.l. 9/2020, entrato in vigore il 2 marzo 2020, ha previsto la sospensione degli adempimenti e dei versamenti contributivi nei territori dei Comuni al tempo interessati dal diffondersi del COVID-19 nonché la sospensione degli adempimenti e dei versamenti contributivi per il settore turistico-alberghiero nell’intero territorio dello Stato.

In particolare, sono stati sospesi i termini relativi agli adempimenti e ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria: (i) in scadenza nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 30 aprile 2020, nei comuni facenti parte delle ormai ex “zone rosse”; (ii) dal 2 marzo 2020 al 30 aprile 2020, per le imprese turistico-ricettive, le agenzie di viaggio e turismo e i tour operator, aventi domicilio fiscale, sede legale o sede operativa nel territorio dello Stato.

È stato, poi, previsto che gli adempimenti e i pagamenti sospesi debbano essere effettuati: (i) quanto alla sospensione relativa alle “zone rosse”, a far data dal 1° maggio 2020 ,anche mediante rateizzazione fino a un massimo di cinque rate mensili di pari importo, senza applicazione di sanzioni e interessi; (ii) quanto alla sospensione relativa al settore turistico, in un’unica soluzione entro il 31 maggio 2020.

Il Decreto Cura Italia, entrato in vigore il 17 marzo 2020, ha innovato la materia, introducendo una proroga per i versamenti in scadenza al 16 marzo 2020 e la sospensione valevole su tutto il territorio nazionale per i settori e i soggetti più colpiti dall’emergenza.

Anzitutto, sotto il primo profilo, i versamenti relativi ai contributi previdenziali e assistenziali e ai premi per l’assicurazione obbligatoria, in scadenza al 16 marzo 2020 sono stati prorogati al 20 marzo 2020, senza applicazione di sanzioni e interessi.

Sotto il secondo profilo, il Decreto è intervenuto a favore di soggetti maggiormente colpiti, ivi inclusi i titolari di partita iva di minori dimensioni, individuati in base ai ricavi o ai compensi del periodo di imposta precedente. In particolare:

  • ai soggetti operanti, tra gli altri, nei settori dello sport, dell’arte e della cultura, del trasporto, della ristorazione, dell’educazione e dell’assistenza e della gestione di ferie ed eventi, è stata estesa la sospensione sino al 30 aprile 2020 (ovvero al 31 maggio 2020, per le federazioni sportive nazionali, per gli enti di promozione sportiva e per le associazioni e le società sportive, professionistiche e dilettantistiche) dei termini relativi agli adempimenti e ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria dettata dal

D.l. 9/2020 per le imprese turistico-ricettive;

  • per i soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione aventi il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato con ricavi o compensi non superiori a 2 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, sono stati sospesi i versamenti da autoliquidazione che scadono nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 marzo 2020 relativi, tra il resto, ai contributi previdenziali e assistenziali, e ai premi per l’assicurazione

Gli adempimenti e i pagamenti sospesi devono essere effettuati, in entrambe le ipotesi di sospensione, in un’unica soluzione entro il 31 maggio 2020 o mediante rateizzazione fino a un massimo di 5 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di maggio 2020 (ovvero, entro il 30 giugno 2020 e a decorrere dal mese di giugno 2020, per le federazioni, associazioni e società sportive). Per espressa previsione di legge, non si fa luogo all’applicazione di sanzioni ed interessi, né al rimborso di quanto già versato.

4.       Indicazioni in materia di privacy del Garante

 Il Garante ha recentemente emesso un provvedimento in relazione alla raccolta di dati, anche relativi alla salute, in concomitanza con l’attuale emergenza sanitaria.5

In particolare, la pronuncia del Garante ha toccato due aspetti:

  • la possibilità, per le aziende, di raccogliere, all’atto della registrazione di visitatori e utenti, informazioni circa la presenza di sintomi da COVID-19 e notizie sugli ultimi spostamenti, come misura di prevenzione dal contagio;
  • la possibilità, per i datori di lavoro, di acquisire una “autodichiarazione” da parte dei dipendenti in ordine all’assenza di sintomi influenzali, e vicende relative alla sfera privata.

4.1.   Visitatori e utenti

 Quanto al tema degli accessi di visitatori, utenti e fornitori, i titolari del trattamento, cioè le aziende, sono invitati ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del COVID-19, senza effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti.

In particolar modo, le aziende devono limitare al massimo l’accesso di soggetti esterni (visitatori, utenti, fornitori, ecc.) e comunicare espressamente (mediante affissioni agli ingressi e specifiche comunicazioni ufficiali ai fornitori, consulenti e/o collaboratori) la necessità di:

  • limitare, per frequenza delle visite e quantità di soggetti, gli accessi alle sedi a quelli strettamente indispensabili;
  • quanto ai fornitori e collaboratori, comunicare tempestivamente l’eventuale insorgere di contagi tra il personale dipendente, indipendentemente dall’effettivo accesso dello stesso alla sede, per poter porre in essere eventuali misure di profilassi ovvero interessare le Autorità Sanitarie.

1.1.   Dipendenti

 I datori di lavoro dovranno astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa.

Resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Al riguardo, il Ministro per la pubblica amministrazione ha recentemente fornito indicazioni operative circa l’obbligo per il dipendente pubblico e per chi opera a vario titolo presso la P.A. di segnalare all’amministrazione di provenire da un’area a rischio. In tale quadro il datore di lavoro può invitare i propri dipendenti a fare, ove necessario, tali comunicazioni agevolando le modalità di inoltro delle stesse, anche predisponendo canali dedicati. Nel caso in cui, nel corso dell’attività lavorativa, il dipendente che svolge mansioni a contatto con il pubblico (es. URP, prestazioni allo sportello) venga in relazione con un caso sospetto di COVID-19, lo stesso, anche tramite il datore di lavoro, provvederà a comunicare la circostanza ai servizi sanitari competenti e ad attenersi alle indicazioni di prevenzione fornite dagli operatori sanitari interpellati.

Permane per il datore di lavoro, nel quadro degli adempimenti connessi alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori per il tramite del medico competente, la possibilità di sottoporre a una visita straordinaria i lavoratori più esposti.

2.       I risvolti privacy del Protocollo del 14 marzo 2020

2.1.   Informazione

 Come anticipato, l’azienda dovrà informare tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali, appositi dépliant informativi. Tali informazioni riguarderanno, in particolare, l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37,5° C) o altri sintomi influenzali o, comunque, di comunicare una variazione delle proprie condizioni di salute che rendano pericolosa la permanenza in azienda; l’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle autorità e del datore di lavoro nell’accesso l’azienda (igiene, distanza di sicurezza etc.); la preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID- 19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS.

Qualora si richieda il rilascio di una dichiarazione attestante la non provenienza dalle zone a rischio epidemiologico e l’assenza di contatti, negli ultimi 14 giorni, con soggetti risultati positivi al COVID-19, l’indicazione è di raccogliere solo i dati necessari, adeguati e pertinenti rispetto alla prevenzione del contagio da COVID-19, evitando, per esempio, di richiedere informazioni aggiuntive in merito alla persona risultata positiva o ai luoghi in concreto frequentati.

2.2.   Ingressi in azienda

 Prima di entrare in azienda, i dipendenti (e i visitatori, ove il loro ingresso fosse necessario) potranno essere sottoposti al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5° C, all’interessato non sarà consentito l’accesso e questi dovrà accettare di essere messo in isolamento temporaneo in attesa di ricevere le indicazioni del medico curante.

Trattandosi di un trattamento di dati, oltretutto relativi alla salute, dovranno essere adottate tutte le accortezze richieste dalla normativa privacy: dall’informativa, che potrà essere fornita anche oralmente, all’individuazione dei soggetti preposti al trattamento, al divieto di diffusione o comunicazione a terzi al di fuori delle specifiche previsioni normative (es. in caso di richiesta da parte dell’autorità sanitaria per la ricostruzione della filiera degli eventuali “contatti stretti” di un lavoratore risultato positivo al COVID-19).

Sarà preferibile evitare di registrare i dati rilevati; in difetto occorrerà prevedere misure di sicurezza adeguate a proteggerli.

3.       La sicurezza dei dati

 La situazione di emergenza rappresenta una grande sfida alla resilienza delle aziende non solo sotto il profilo della loro capacità di cogliere le opportunità dell’evoluzione del lavoro, ma anche sotto quello dell’adeguatezza rispetto al tema della sicurezza dei dati.

Attraverso i propri dispositivi, infatti, lo smart worker entra continuamente in contatto con i database aziendali e tratta una mole non indifferente di informazioni, a volte sensibili. L’accesso, inoltre, non avviene all’interno delle mura aziendali, ma dalla sua abitazione o – peggio – da altri luoghi esterni, amplificando le probabilità che i dati possano essere visualizzati o prelevati da altri (si pensi, a mero titolo di esempio, alle criticità sollevate dalle rete wi-fi libere che si trovano in molti locali che idealmente si prestano a fungere da luoghi di coworking).

L’azienda, in qualità di titolare o responsabile del trattamento, è tenuta a garantire la sicurezza costante dei dati e a mettere in atto le misure tecniche e organizzative idonee a garantire un livello di sicurezza adeguato a norma degli articoli 24 e 32 del GDPR, la cui violazione può esporla a sanzioni pecuniarie fino a 10 milioni di euro o fino al 2% del fatturato totale annuo mondiale.

In che modo?

Innanzitutto partendo dalla protezione dei dispositivi attraverso l’installazione di adeguati software antivirus ed efficienti sistemi di backup nonché la messa a punto di strategie di Mobile Device Management (MDM) che prendano in considerazione tecnologie di password authentication, data encryption, remote wipe/lock (per formattare da remoto i dispositivi e cancellare tutti i dati in caso di furto o smarrimento).

Inoltre, dotandosi di adeguate policy e procedure, che non solo vengano portate a conoscenza degli utenti ma con essi condivise attraverso una mirata attività di formazione, che potrà essere svolta anche con l’aiuto del DPO aziendale, se presente, affrontando, nello specifico, proprio quei temi che possono presentare particolari aderenze con lo smart working, come ad esempio i numerosi comportamenti quotidiani che possono portare a potenziali rischi quali lo smarrimento dei device o la navigazione tramite reti non sicure.

Avere fatto una buona formazione in azienda risulterà tanto più fondamentale oggi in considerazione del fatto che, stando agli esperti, in concomitanza con l’attuale crisi sanitaria l’Italia risulta nel mirino dei cyber-criminali, intenzionati ad approfittarsi del minore stato di allerta degli utenti lanciando campagne volte a infettare i computer delle per sottrarre dati o estorcere danaro. Ciascuna campagna comprende più attacchi destinati a più soggetti, comprendendo un numero elevato di aziende e bersagli all’interno di queste.

Spesso gli attacchi sfruttano tecniche di ingegneria sociale per convincere le vittime ad aprire gli allegati o i link, magari sul COVID-19, i quali sono spesso documenti contenenti macro che scaricano e installano i malware.

La migliore tecnica per scongiurare questi attacchi è dare l’indicazione di non aprire mai e in nessun caso allegati da fonti che non siano note e conosciute e comunicare la ricezione al personale IT aziendale. Anche email all’apparenza molto ben fatte e scritte in italiano perfetto possono celare minacce alla sicurezza aziendale. Bisogna, dunque, sempre valutare attentamente cosa si va ad aprire controllando l’oggetto, il mittente, l’indirizzo email di provenienza e così via. Sono controlli semplici che portano via poco tempo, ma che possono già aiutare a scremare le email dannose; in ogni caso è bene sospettare sempre e chiedere sempre aiuto al personale competente.

***

Il presente documento ha finalità meramente divulgative. Esso non costituisce un parere legale in relazione alle materie in esso descritte, né può essere considerato quale analisi giuridica sostitutiva di una specifica consulenza legale in relazione alle stesse materie o quale riferimento per contratti o impegni di qualsivoglia natura.

Il presente documento è di proprietà di Pavia e Ansaldo Studio Legale e ne è vietata la copia, duplicazione, citazione o riproduzione, al di fuori della sua consultazione.

 

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