2020-05-05

QUALCUNO PUÒ NON PAGARE? DUBBI IN TEMPI DI PANDEMIA

Qualcuno può essere autorizzato a non pagare, adducendo che non è in grado di farlo proprio in ragione di questa gigantesca quanto imprevedibile situazione? Questa è la domanda fondamentale cui occorre tentare d dare una risposta. Oggi ci si chiede: chi è chiamato a pagare un (anche cospicuo) canone di locazione e si trova per disposizione di legge con la saracinesca abbassata, cosa può dire al proprietario che chiede lo scrupoloso rispetto del contratto? E l’azienda che non riesce più a commercializzare i suoi prodotti, come risponde ai fornitori che reclamano, magari per una fattura già scaduta?

1. L’art. 3 del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, c.d. “Cura Italia”, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, contiene una disposizione dai contenuti piuttosto imprecisati: tanto evidente è la sua vaghezza quanto potenzialmente impattante la portata sistematica. Mi riferisco in specie al comma 6-bis di quell’articolo, il cui testo recita: «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».

Non è sull’aspetto specifico delle «decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti» che vorrei qui soffermarmi. Invece, il tema che intendo porre al centro – tema che rimane sfumato se si guarda al tenore della disposizione – è quello generale della responsabilità da inadempimento, di cui agli artt. 1218 e 1223 c.c.; in particolare, qui mi chiedo se, ed eventualmente come, quel comma 6-bis dell’art. 3 del “Cura Italia” possa trovare applicazione precisamente in tema di ritardo nell’adempimento di prestazioni pecuniarie. Il terreno è delicatissimo e alquanto rilevante nella prassi. Mi limiterò a proporre un’ipotesi argomentativa, con riflessioni piuttosto stringate e affacciate “in prima lettura”.
2. Appare chiaro che la norma del “Cura Italia”, per come è composta, è prioritariamente orientata al debitore di prestazioni non pecuniarie (le cui attività siano quelle direttamente vietate per effetto del c.d. lockdown). In prima battuta, verrebbe allora da dire che non v’è spazio per trarne conseguenze con riguardo alle prestazioni di denaro: in effetti, quando venga in rilievo una responsabilità da inesatto adempimento di prestazione pecuniaria, si è soliti invocare un principio generale di illimitata responsabilità.
In sostanza, l’impotenza finanziaria del debitore resta sempre e comunque irrilevante, quale che ne sia la ragione.
Il principio di incondizionata responsabilità del debitore per un debito di denaro è da valutarsi avendo riguardo alle specificità della struttura giuridico-economica di questo tipo di debito: in estrema sintesi, per un verso è da tenere in conto il pilastro dell’articolo 2740 c.c. («il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti futuri»), e, per altro verso, occorre ricordare che il debito di denaro partecipa della disciplina delle obbligazioni di genere, in relazione alle quali vale l’antica regola genus numquam perit; ciò vale pur con tutti i caveat e i temperamenti che questa affermazione meriterebbe: per esempio, taluno in dottrina preferisce invece parlare di principio di indistruttibilità del denaro, ma poco cambia ai fini di quel che intendo ora dire.
Tenendo ferme queste premesse, potrebbero semmai sottrarsi alla regola generale casi alquanto marginali, nei quali il comportamento stesso del pagare sia concretamente impedito dalle misure di contenimento: s’immagini il caso di un soggetto che intenda effettuare un pagamento, ma che si trovi senza sua colpa temporaneamente sprovvisto della connessione web per effettuare un bonifico tramite home banking, sicché – accettando il presupposto che non vi siano altri modi per provvedere al pagamento a causa delle misure di contenimento – si trovi costretto a provvedervi in ritardo. In questo caso, il problema dipenderebbe dalle modalità dell’adempimento.
3. È davvero, quella appena descritta, l’unica categoria di ipotesi entro cui assume un senso, di fronte al non tempestivo adempimento di un’obbligazione pecuniaria, la necessità imposta dal decreto “Cura Italia” di tenere conto delle misure di contenimento? Davvero non vi sono altri spazi per sostenere, in forza di questa nuova norma, la scusabilità del ritardo nell’adempimento di un debito pecuniario, in specie agli effetti del decorrere degli interessi moratori? Appare chiaro che il problema, da molti punti di vista, finisce per toccarsi e quasi fare tutt’uno con quello di cosa si intenda per factum principis e per causa di forza maggiore: temi di cui molto si è parlato in queste drammatiche settimane. Però occorre tenere conto che il richiamo a queste figure fonderebbe un’estinzione dell’obbligazione per impossibilità: qui, invece, lungi dall’evocare un’estinzione dell’obbligazione, mi propongo di valutare gli effetti di un ritardo nell’adempimento.
4. Al di là dei casi in cui venga in rilievo un problema legato alla modalità dell’adempimento, assai più numerose sono le ipotesi in cui «il rispetto delle misure di contenimento» di cui al decreto “Cura Italia” assumerebbe un significato in connessione – per così dire – con il contesto generale di “blocco”.
Dunque, non si tratterebbe di un divieto che incide sulla prestazione oggetto dell’obbligazione, ma più in generale di un problema di maggiore o minore “difficoltà” dell’adempimento: come a dire che il problema è quello di una sopravvenienza, che qui osservo sotto il profilo dell’obbligazione pecuniaria (giacché, se la valutassi in relazione al contratto a prestazioni corrispettive, il discorso assumerebbe profili differenti, in primis alla luce dell’art. 1467 c.c.).
Si possono fare due esempi che presentano un differente grado di intensità quanto proprio alla connessione tra il debito di denaro e il contesto generale di “blocco”.
Si pensi al caso dell’impresa X che abbia acquistato da Y un macchinario molto costoso nel mese di gennaio, con l’accordo di pagarne il prezzo entro il 10 aprile (o comunque in altra data che si collochi nel periodo di vigenza delle misure di contenimento); si ipotizzi poi che, per procurarsi la liquidità necessaria per pagare il macchinario, l’impresa X avesse in programma di vendere un capannone di sua proprietà; inoltre, si presupponga che X avesse trovato l’acquirente Z già nel mese di febbraio e si fosse accordata con Z nel senso di concludere la compravendita entro il 31 marzo: in questo modo X avrebbe ottenuto la liquidità necessaria per pagare tempestivamente il prezzo del macchinario. Il piano originario risulta però sconvolto dall’emergenza sanitaria: posto che le misure di contenimento impediscono gli spostamenti, è venuta meno la possibilità concreta di addivenire alla conclusione della compravendita davanti al notaio, sicché l’atto è rinviato al termine dell’emergenza; soltanto in quel momento X incasserà da Z la liquidità necessaria per pagare Y.
Si ponga mente poi, in termini ancora più larghi, a tutti i casi in cui si verifichi un blocco temporaneo di liquidità per interruzione di un flusso di cassa. Per esempio, il decreto blocca la produzione di X, che è una grande casa automobilistica; accade che a Y, che fornisce pellami per i sedili a X, viene improvvisamente a mancare liquidità: Y può sperare che un suo ritardo di pagamento nei confronti di Z, che gli ha già fornito la materia prima con pagamento a 60 giorni (venuti a scadere nel bel mezzo del lockdown in cui X ha fermato la produzione e quindi gli acquisti), non generi le conseguenze della mora? In ciascuno di questi casi, il nodo è rappresentato non già dall’estinzione dell’obbligazione.
Nessuno infatti dubita che quell’obbligazione debba essere adempiuta, e nessuno mette in discussione la sua integrità “quantitativa”. Invece, è da vedere se in presenza di un (contenuto) ritardo di pagamento, si possa evitare di ingenerare gli effetti della mora (automatica): pensiamo, in primis, al pagamento degli interessi. Come accennavo poco fa, in questo argomentare è doveroso mantenersi un passo a monte rispetto ai macro-temi rappresentati dal factum principis e dalla forza maggiore.
Più precisamente mi chiedo quindi se, prima ancora di entrare nel merito dell’argomento ben più spinoso che si lega a factum principis e forza maggiore e che conduce tout court all’esito di un’estinzione dell’obbligazione, al debitore residui qualche spazio per sottrarsi a una responsabilità conseguente al ritardo dell’adempimento pecuniario, esclusivamente sulla base di una valorizzazione della sua diligenza.
Da diversa prospettiva, si può dire che il tema è quello – antico e nobile – della colpa in relazione all’adempimento, specificamente quando l’obbligazione sia pecuniaria.

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