2024-05-28

RECENTE SENTENZA PENALE DEL TRIBUNALE DI MILANO DI ASSOLUZIONE NEI CONFRONTI DI UN ENTE INCOLPATO IN TEMA DI ADEGUIATEZZA DEL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE EX D.LGS. N. 231/2001

 

Studio Legale e Tributario IOOS

Avv. Paolo Corti

 

L’imputazione di false comunicazioni sociali è stata contestata a vari soggetti coinvolti nella vicenda (componenti del consiglio di amministrazione, dirigenti, sindaci), con coinvolgimento del revisore legale (ex art. 27, c. 2, D.Lgs. 39/2010) e della società per responsabilità amministrativa degli enti (ex D.Lgs. 231/2001).

Quanto ai sindaci il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1070 dello scorso 22 aprile, afferma che “è dirimente richiamare le considerazioni già formulate con riferimento all’elemento soggettivo in capo agli amministratori privi di delega (si veda, ex plurimis, Cass. 42568/2018), secondo cui l’affermazione della responsabilità penale esige la prova dell’effettiva conoscenza del falso o, quantomeno, di “segnali di allarme” dai quali poterne desumere con alto livello di confidenza la sussistenza“.

Ritenendo che i sindaci non abbiano mai riscontrato segnali di allarme che potessero anche solo far sospettare l’esistenza delle frodi e delle manipolazioni contabili oggetto dell’impianto accusatorio pur attivandosi per svolgere correttamente le proprie funzioni, il Tribunale afferma che “il comportamento posto in essere dai vertici aziendali ha rappresentato un evidente ostacolo all’attività di vigilanza del Collegio”.

Conseguentemente, riscontrato comportamento fraudolento delle figure apicali della società e l’assenza di significativi segnali d’allarme i membri del collegio sindacale sono stati giudicati esenti da responsabilità, in quanto non è configurabile in capo agli stessi l’elemento soggettivo del reato contestato, che presuppone il dolo ossia “la consapevolezza e volontà di emettere un giudizio .. al fine di far conseguire agli organi amministrativi e di controllo della società sottoposta a revisione un ingiusto profitto“.

Quanto all’attività del soggetto responsabile dell’attività di revisione, il Tribunale, pur ritenendo sussistente la condotta sul piano oggettivo (essendo emerso che egli, quale socio responsabile dell’attività di revisione, ha falsamente attestato la corrispondenza del bilancio alle scritture contabili, rilasciando un giudizio positivo su un bilancio inidoneo a rappresentare correttamente la situazione patrimoniale ed economica della società) ha rilevato che difetta tuttavia “l’elemento soggettivo del reato, essendo stato il revisore fuorviato da false o carenti informazioni provenienti dai vertici della società, essendo, infatti, emerse: la complessità degli schemi di frode e la loro insidiosità, la loro scoperta a seguito di ammissioni fatte all’interno della società stessa e del conseguente avvio di una complessa attività di investigazione; l’alterazione dei dati che venivano fomiti al revisore, differenti rispetto a quelli contenuti nei report interni; l’impossibilità per il revisore, per tutte le ragioni sopra esposte, di intercettare le frodi nonostante le procedure introdotte“.

Infine, “essendo la fattispecie contestata un reato doloso ed essendo stata accertata la mancanza dell’elemento soggettivo, l’imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisce reato, con conseguente venir meno di ogni responsabilità in capo alla società di revisione“.

Affrontando, poi,  il tema della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, il Tribunale si occupa sia il tema del contenuto del modello di organizzazione e gestione (MOG 231/2001), sia del concetto di colpa di organizzazione.

Quanto alla colpa, ritiene il Tribunale che il contenuto sicuramente più significativo del MOG è rappresentato dai protocolli di comportamento che integrano il secondo fondamentale contenuto del dovere di organizzazione che grava sugli enti, in quanto hanno come obiettivo strategico quello della cautela, cioè l’apprestamento di misure idonee a ridurre continuativamente e ragionevolmente il rischio-reato.

Lo strumento per conseguire detto obiettivo è la predisposizione di un processo, di un sistema operativo che deve essere caratterizzato da cautele puntuali, concrete ed orientate sul rischio da contenere.

Alla determinatezza, si deve affiancare anche l’efficace attuazione nel senso che lo strumento di prevenzione non deve risolversi in un mero supporto cartaceo’ che sarebbe sicuramente poco efficace sul piano applicativo.

Quanto alle procedure “il loro contenuto richiede:

  1. a) l’indicazione di un responsabile del processo a rischio-reato, il cui compito principale è quello di assicurare che il sistema operativo sia adeguato ed efficace rispetto al fine che intende perseguire;
  2. b) la regolamentazione del processo, ovvero I ‘individuazione dei soggetti che hanno il presidio di una specifica funzione, e ciò in osservanza del predetto principio di segregazione delle funzioni;
  3. c) la specificità e la dinamicità del protocollo, laddove il primo requisito evoca la sua aderenza sostanziale rispetto al rischio da contenere, mentre il secondo presupposto attiene alla capacità del modello di adeguarsi ai mutamenti organizzativi che avvengono nella compagine sociale;
  4. d) la garanzia di completezza dei flussi informativi, che rivestono un ruolo assolutamente centrale sul versante dell’effettività della cautela e, da ultimo, un efficace monitoraggio e controllo di linea, ovvero quelli esercitati dal personale e dal management esecutivo“.

I Giudici hanno valutato idonei i protocolli adottati dall’ente, contenenti specifiche procedure di prevenzione del rischio-reato.

Ancora, “dall’analisi degli allegati, si può facilmente constatare che significativi protocolli di prevenzione del rischio-reato, i quali erano finalizzati ad operare in alcuni settori ‘nevralgici’ della politica aziendale, ovvero i settori interessati dalla circolazione di denaro, erano già stati elaborati ed approvati nel 2013 ed il relativo contenuto è stato puntualmente richiamato nel Modello del 2016“.

In definitiva, il Tribunale milanese ha accertato che le frodi perpetrate nel corso degli anni ed oggetto di indagine e le manipolazioni contabili che ne sono state la conseguenza non siano frutto della inadeguatezza del modello di organizzazione e gestione, bensì di una serie di comportamenti illeciti a carattere fraudolento posti in essere da soggetti determinati e che non erano né evitabili né prevedibili.

Del resto, tali condotte erano emerse solo a seguito di una segnalazione anonima e di approfondite indagini eseguite una volta allontanati i responsabili.

Ciò a conferma che il comportamento fraudolento in quanto tale non può essere impedito da nessun modello organizzativo e in particolare nemmeno dal più diligente organismo di vigilanza (in tal senso, Corte di Appello di Milano 21.03.2012, n. 1824).

La conclusione obbligata è, quindi, quella d’escludere la responsabilità amministrativa dell’ente.

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