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Caso Spagna vs. Lopez Ribalda e altri. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: telecamere “nascoste” sul luogo di lavoro
di avv.it Rafael San Bruno, Irene Pudda e Vincenzo Merra
Con la sentenza del 17 ottobre 2019 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), confermando le decisioni assunte da parte dei Tribunali spagnoli, ha ritenuto non contraria alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo l’installazione da parte del datore di lavoro di telecamere nascoste, allo scopo di identificare gli autori di molteplici furti verificatisi in azienda.
Nel caso di specie il datore di lavoro, dopo aver notato una discrepanza tra stock e vendite all’interno di un supermercato, aveva installato telecamere nascoste, attraverso le quali è stato possibile accertare che diversi dipendenti, effettivamente, rubavano merce.
I Giudici spagnoli avevano ritenuto legittimi i (quattordici) licenziamenti intimati dal datore di lavoro e avevano rigettato i ricorsi dei dipendenti responsabili dell’illecito, i quali lamentavano la mancata informazione in merito all’installazione delle telecamere.
Pertanto, secondo i giudici della Corte europea, i colleghi spagnoli chiamati a decidere la legittimità dei licenziamenti hanno «attentamente bilanciato» i diritti dei dipendenti sospettati di furto e quelli del datore di lavoro, effettuando un esame approfondito delle ragioni della videosorveglianza e delle sue caratteristiche (la sua breve durata, 10 giorni; il numero limitato delle persone messe a conoscenza dei video; la scarsa estensione dell’area sorvegliata, limitata alla zona casse).
La mancata notifica preventiva della sorveglianza, benché prevista dalle norme interne iberiche, è stata ritenuta giustificata dal «ragionevole sospetto» di una grave colpa dei lavoratori e dall’entità della perdita economica subita dal supermercato a causa dei furti.
Per la CEDU, il livello di tutela privacy che un dipendente può legittimamente attendersi dipende anche dalla posizione: molto elevato in luoghi privati (servizi igienici o guardaroba), dove vi è un divieto assoluto di videosorveglianza; elevato in spazi di lavoro ristretti (uffici), dove può essere giustificato; inferiore, negli spazi di lavoro visibili o accessibili ai colleghi o al pubblico in generale.
La sentenza in esame offre interessanti spunti in relazione alla normativa italiana, in particolare, in materia di diritto del lavoro e dei connessi aspetti privacy.
Fino al 2015, l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L.300/70) vietava l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dei lavoratori: gli impianti e le apparecchiature di controllo che erano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali poteva derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, potevano essere installati solo previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste o in difetto di accordo, previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro. Per superare tale rigidità normativa, la giurisprudenza aveva introdotto il concetto dei cd. “controlli difensivi” tramite i quali – ponendosi al di fuori della disciplina prevista dall’art. 4 citato – il datore di lavoro poteva mirare ad accertare comportamenti illeciti in azienda.
I “controlli difensivi” erano stati oggetto di fondate critiche, posto che attraverso il ricorso a tale categoria era nei fatti possibile aggirare le chiare disposizioni del citato art. 4.
Nel 2015 l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è stato rivisitato dal Jobs Act (D. Lgs. 151/2015). La riforma ha mantenuto sostanzialmente inalterato l’apparato autorizzativo già collaudato. Inoltre, il Jobs Act ha introdotto il 3 comma all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e così, in materia di privacy, in conformità al Regolamento 2016/679 (GDPR) e al D.lgs 196/2003 come modificato dal D.lgs 101/2018, ha stabilito l’obbligo per il datore di lavoro di informare i dipendenti circa gli eventuali controlli posti in essere e le potenziali conseguenze sul piano disciplinare.
E’ stato confermato inoltre il superamento e l’erroneità logica del concetto di controllo difensivo, posto che il controllo – anche se motivato e reso necessario da esigenze di tutela del patrimonio o dei locali aziendali – deve in ogni caso essere sempre previamente autorizzato.
Conseguentemente, è evidente che dagli obblighi previsti dalla normativa italiana in materia di diritto del lavoro e della privacy discende l’impossibilità di effettuare controlli “difensivi”, ossia di installare telecamere nascoste.
Ferme le prescrizioni in ambito lavoristico, l’orientamento della CEDU è stato nei suoi presupposti condiviso dal Garante italiano della Privacy, che in un comunicato stampa del 17 ottobre 2019 sottolinea come la sentenza «da una parte, giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall’altra, conferma però il principio di proporzionalità (la CEDU ha infatti accertato una serie di presupposti, come i «fondati e ragionevoli sospetti» sui furti commessi dai lavoratori, il danno ingente subito dal datore di lavoro) come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo».
La videosorveglianza «occulta», commenta peraltro il Garante, «è dunque, ammessa solo in quanto extrema ratio», «con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore», e non può in nessun caso «diventare una prassi ordinaria».
Il «requisito essenziale» perché i controlli sul lavoro siano legittimi, conclude il Garante, «resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza», che si confermano ancora una volta i capisaldi della protezione dei dati personali.
Alla luce dei chiarimenti forniti, che attengono coerentemente al profilo privacy, e alla luce del fatto che la normativa spagnola non contiene una norma di divieto tale da poter essere assimilata all’art. 4 dello Statuto, si ritiene che la pronunzia della CEDU non sia in grado di intaccare minimamente il percorso interpretativo di una norma italiana che è chiarissima oltre che cogente.
Il consiglio è pertanto, chiaramente, quello di provvedere sempre all’accordo sindacale o alla richiesta di autorizzazione amministrativa.
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