A cura di Avv. Enzo Pisa e Dott.ssa Annachiara Zandonà
Il D.L. 137/2020 (c.d. decreto “Ristori”) dello scorso 28 ottobre, recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza” (connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19), proroga alcune misure emergenziali in materia di lavoro già facenti parte del corpus dei precedenti decreti emanati dal Governo durante il periodo di pandemia da Covid-19, tra cui il temporaneo divieto dei licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo (in seguito, con l’acronimo g.m.o.), prolungato ora sino al 31 gennaio 2021.
L’art. 12, commi 9 e 10, del predetto D.L. stabilisce, infatti, che sino a tale data “resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. Fino alla stessa data di cui al comma 9 resta, altresì, preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge”.
L’ennesimo prolungamento del divieto di licenziamento per ragioni economiche è strettamente legato alla proroga di 6 settimane – da collocarsi nel periodo compreso tra il 16 c.m. ed il prossimo 31 gennaio – della cassa integrazione con causale Covid-19 per le imprese che, a metà di questo mese, hanno esaurito le 18 settimane di cassa o l’alternativo sgravio contributivo concessi dal D.L. 104/2020, convertito nella L. 126/2020, c.d. decreto “Agosto”.
E’ notizia di questi giorni, peraltro, che lo stop ai licenziamenti economici andrà avanti sino a fine marzo 2021 di pari passo con le ulteriori 12 settimane di cassa integrazione con causale Covid-19, che saranno finanziate con la prossima legge di Bilancio.
Ex lege fanno eccezione al blocco dei licenziamenti: le ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa (si noti bene: la chiusura di un’unità produttiva, di per sé, non porta alla sospensione del blocco), conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non avvenga la cessione d’un complesso di beni od attività che possa configurare un trasferimento d’azienda o d’un suo ramo ex art. 2112 c.c.; le ipotesi di licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione (con la precisazione che, nel caso particolare in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi in tale ramo); una terza ipotesi è quella in cui venga stipulato un accordo collettivo aziendale (con esclusione, quindi, di accordi territoriali o nazionali) con le OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevede un incentivo alla risoluzione del rapporto per i dipendenti che aderiscono allo stesso accordo, ai quali è comunque riconosciuto il diritto al trattamento NASpI.
Delimitato il perimetro, così come tracciato dal decreto “Agosto” e rimarcato dal recente decreto “Ristori”, entro il quale è consentito in connessione all’emergenza sanitaria, si osserva che sono sempre rimasti intimabili, in quanto non “toccati” dalla sospensione, i seguenti licenziamenti individuali, per loro natura non riconducibili a motivi economici: i licenziamenti disciplinari, sia per giusta causa che per giustificato motivo soggettivo; i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo d’età pensionabile; i licenziamenti dei lavoratori domestici; i recessi dal contratto d’apprendistato, al termine del periodo formativo; i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova; i licenziamenti per superamento del periodo di comporto.
Quanto, invece, al licenziamento per sopravvenuta inidoneità della prestazione, rientrando esso per definizione nei casi di licenziamento per g.m.o., seppur non dipendente da ragioni economiche, anch’esso è vietato, a maggior ragione laddove l’inidoneità sia causata dai postumi dell’infezione da Covid-19.
In conclusione, si rileva come la norma sul temporaneo divieto di licenziamento abbia alimentato qualche dubbio sulla sua applicabilità al licenziamento individuale del dirigente, al quale non s’applica il concetto di g.m.o., bensì un criterio di “giustificatezza”.
Stante il chiaro tenore letterale del c. 10 dell’art. 12 del decreto “Ristori”– il quale, così come i precedenti decreti emergenziali, fa esplicito riferimento all’art. 3 della L. 604/1966, non applicabile alla categoria dirigenziale per espressa previsione dell’art. 10 della medesima L. 604 – è prevalente tra i commentatori l’opinione secondo cui alla categoria dei dirigenti non s’applichi il blocco di licenziamento individuale per ragioni oggettive.